In Puglia, nel Settecento, il tema della divisione in quote delle terre demaniali da assegnare alle famiglie di contadini trova la sua prima e più nota applicazione in Capitanata dove, nella seconda metà del secolo, sui terreni che costituivano le masserie della Casa d’Orta, possedute dai Gesuiti dagli inizi del Seicento e fino al 1767, anno in cui i religiosi furono espulsi dal Regno, i Borbone fondano cinque "reali siti", quattro colonie nelle quattro masserie ex gesuitiche e una quinta presso il ponte sul fiume Carapelle.
Ancora, alla fine del Settecento, con la prammatica del 23 febbraio 1792, viene decretata la spartizione dei demani comunali in piccole quote da concedere ai lavoratori senza o con poca terra.
Nell’Ottocento durante il decennio francese, viene emanata la legge per la ripartizione dei demani (l. 1° settembre 1806) che all’art. 1 recitava: "i demani di qualsivoglia natura, feudale o di chiesa, comunali o promiscui, saranno ripartiti ad oggetto di esser posseduti come proprietà libere di coloro, ai quali toccheranno". In realtà la legge, con i successivi decreti dell’8 giugno 1807 e 3 dicembre 1808, e le istruzioni ministeriali del 10 marzo 1810, aboliva i soli diritti feudali, distinguendoli dalle prestazioni territoriali (terraggi, decime), e attribuiva alle comunità solo una parte dei demani feudali, corrispondente al valore degli usi civici e delle promiscuità da sciogliere, il che avrebbe reso estremamente complesso il contenzioso tra gli ex feudatari e i comuni.
Per la definizione delle controversie demaniali fu necessario, in un primo tempo, recuperare la cartografia già in possesso delle parti, cui fu attribuito valore documentale, e poi promuovere comune per comune nuove operazioni geometriche per individuare i demani, stabilire i confini, riconoscere le colonie che vi erano insediate, verificare le usurpazioni, ripartirli tra gli ex feudatari e i comuni secondo le proporzioni e i criteri fissati dalla legge. La cartografia prodotta in questa prima fase si basava generalmente sul complesso di fonti diplomatiche, fiscali e giudiziarie che le parti esibivano per documentare i rispettivi diritti.
Con le operazioni di divisione in quote dei demani comunali, gli agrimensori sono chiamati ad adattare alla natura del suolo uno schema rigorosamente geometrico di ripartizione in lotti dei terreni. Vengono così definite le quote, tutte del medesimo valore pur se non di uguale grandezza, le aie e gli spazi comuni, la griglia regolare della viabilità di accesso ai campi, che si raccorda con quella preesistente.
Ai periti agrimensori, insieme agli agenti demaniali, era chiesto di redigere la pianta di tutto il territorio comunale dove occorreva eseguire le divisioni, esprimendo pareri e valutazioni per l’uso ottimale dei terreni; inoltre dovevano indicare le parti di demanio da lasciare indivise come i boschi, i pendii di montagna, le rive dei fiumi, le terre inondate e "lamose" e i diversi generi di coltura del rimanente territorio, individuando le strade comuni che separavano e collegavano tra loro le quote.
In Puglia, è esemplare la complessa vicenda della quotizzazione in Terra d’Otranto del Bosco Belvedere del principe di Tricase, documentata in ben trenta piante topografiche concernenti i quindici comuni che vi esercitavano gli usi civici.
La quota, che per legge non era inferiore a due tomoli (ciascuno di 900 passi quadrati), considerata l’estensione minima per il sostentamento di un nucleo familiare, veniva concessa all’assegnatario dietro il pagamento di un canone annuo, che variava da zona a zona secondo l’andamento dei fitti al momento delle operazioni, comunque vantaggioso, con il solo vincolo della inalienabilità per 10 anni. Le dimensioni variavano poi in rapporto alla qualità del terreno, classificato in tre classi di rendimento, per dare uguale valore ad ogni appezzamento. Le quote venivano numerate ed assegnate nell’ordine di estrazione a sorte dei capifamiglia che ne avessero fatto richiesta, fatta eccezione per i comuni in cui potevano essere soddisfatti tutti i richiedenti.
Le quote assegnate, tuttavia, erano troppo piccole per la garantire la sopravvivenza; quindi i contadini furono spesso costretti a rivenderle o, dopo averle messe a coltura, subirono l’esproprio per debito d’imposta.
Gran parte delle immagini del percorso sono tratte dal fondo Piante Topografiche dell'Archivio di Stato di Foggia e dal subfondo Demani comunali dell'Archivo di Stato di Lecce. Seleziona i testi evidenziati per accedere direttamente a tutto il materiale dei fondi presenti in Teca Digitale.